Anastasia
Il 28 dicembre 2012, in un ospedale nella parte nord di Londra,
io e mio marito ricevemmo una notizia devastante: la bimba che
aspettavamo era affetta da anencefalia, una condizione fatale.
I nostri cuori si stringono per chiunque riceva una diagnosi simile
(o qualunque altra diagnosi fatale), perché sappiamo la
sensazione di completa devastazione, disperazione, paura e
disorientamento che questa porta con sé.
Quando ricevemmo la diagnosi di anencefalia per quella che era la
nostra terza figlia, già avevamo alle spalle un'altra esperienza
di shock e dolore: il nostro primo bimbo, infatti, era nato morto nel
2009. Dunque, come coppia conoscevamo già bene l'angoscia di
una perdita simile. Sapevamo quanto è doloroso lasciare l'ospedale
a mani vuote e incrociare nei corridoi altre coppie felici che portano a
casa i loro neonati. Sappiamo cosa vuol dire acquistare uno spazio al
cimitero, invece che una culla.
Ripensandoci, penso che i medici abbiano cercato di risparmiarci altro dolore.
Il giorno in cui ricevemmo la diagnosi di anencefalia, i medici di quell'ospedale
di Londra diedero per scontato che scegliessimo di abortire la bimba, anche se
non utilizzarono mai il termine specifico. Ci dissero, con delicatezza, che
avremmo potuto "risolvere la situazione" il giorno stesso. Avrei potuto firmare
le carte per dare il consenso alla "procedura". Non mi fu mai spiegato chiaramente
che volevano uccidere mia figlia; sconvolta e disorientata, avrei potuto facilmente
accettare di firmare. Ripensandoci adesso, ci terrorizza l'idea che avremmo
potuto porre fine all'esistenza della nostra bimba senza rendercene del tutto conto,
rinunciando così a qualcosa di profondamente significativo e potente: la
possibilità di amare, abbracciare e conoscere nostra figlia. Da quanto
è comune, nel Regno Unito, la decisione di abortire, non ci accennarono
neanche la possibilità di portare a termine la gravidanza.
Mi dissero, semplicemente, che la patologia della mia bimba era "incompatibile con
la vita". Era consolante, come se la bimba fosse già morta, e rassicurante,
perché non era colpa mia. I dottori iniziarono persino a consigliarmi di
prendere più acido folico, se avessi voluto "provarci di nuovo".
Ma la mia bambina non era morta. Solo quando, tra le lacrime, feci notare che mi
sembrava di vedere un battito, i medici ammisero che la bimba era viva, e se
avessimo lasciato che la natura facesse il suo corso la gravidanza sarebbe andata
avanti.
Avendo conosciuto il valore di portare a termine una gravidanza quando il bimbo
muore di parto, sapevamo che non avremmo mai abortito. Mi ricordo che dissi ai
medici, "Il mio primo bambino mi ha cambiato la vita. Sono felice di averlo dato
alla luce perché mi ha insegnato moltissimo, grazie a lui mi sento più
forte. Anche questo bimbo mi cambierà, e voglio conoscerlo, o conoscerla.
Smettiamola di parlare di "risolvere le cose", pensiamo al proseguimento della mia
gravidanza".
Fortunatamente, i medici supportarono la nostra decisione di non interrompere la
gravidanza. Decidemmo così i passaggi successivi, con ecografie settimanali
per monitorare il battito, finché non fossi riuscita a sentire i primi movimenti.
Mi rassicurarono che, se fosse nata viva, la bimba non avrebbe provato alcun dolore e
sarebbe stata al caldo, nutrita e accudita. Si sarebbero assicurati che potessimo
passare con lei tutto il tempo a disposizione, senza interventi medici superflui.
Arrivati a casa, ci fiondammo su internet e divorammo tutto il materiale che riuscissimo
a trovare sull'anencefalia - in particolare questo utilissimo sito. Scoprimmo con sorpresa
che questi bambini sono in grado di sopravvivere per un po' di tempo (a volte anche mesi o
anni) e che i genitori che portano a termine la gravidanza ne traggono immensa gioia, pace
e soddisfazione. Possono godersi la breve vita del figlio e riempirlo di affetto e di
amore. Le storie che leggemmo su questo sito ci riempirono del coraggio necessario per
i mesi successivi.
Realizzammo che, una volta che ci si "abitua all'aspetto del difetto genetico", i
genitori riescono a guardare oltre, amando e adorando il loro neonato, come se fosse
sano. Speravamo che questa fosse la nostra esperienza.
Devo ammettere che all'inizio, guardando fotografie di bimbi affetti da anencefalia,
rimanevo sconvolta e mi veniva da piangere. Ma essendo Cristiani, ci immergemmo in
quello che la Bibbia ci dice sui bambini non ancora nati. Ricordammo a noi stessi
che tutti i bambini sono "fatti in modo stupendo" da Dio, secondo il Suo disegno (
Salmi 139). La parola "stupendo" riflette qui la natura di Dio. Questa considerazione
mi diede una fiducia così forte da farmi capire che, qualunque cosa pensassero
gli altri del nostro bambino, quando lo avremmo incontrato avremmo provato amore
e orgoglio. Anencefalia o no, nostro figlio era stato fatto da Dio ed era il Suo
regalo alla nostra famiglia.
Facemmo amicizia online con altri genitori che avevano scelto di proseguire la
gravidanza. Una mamma aveva avuto con sé la sua dolce bambina per dieci
preziosissimi mesi e parlava della gioia che sua figlia aveva portato nelle loro
vite. Trovammo altre mamme in attesa (tramite il gruppo di supporto Facebook
collegato a questo sito). Fu un aiuto fondamentale mentre assimilavamo la
diagnosi e ci preparavamo alla nascita. Fu come un corso preparto virtuale.
Quasi ogni giorno scambiavo e-mail con altri donne che avevano il termine
vicino al mio.
Decidemmo di riempire nostra figlia di quanto amore e affetto possibile nel poco
tempo che avremmo avuto a disposizione. Scoprimmo che era una femmina e la chiamammo
Anastasia Joy. Anastasia significa "resurrezione". Data la fragilità del
corpo di nostra figlia e la certezza della morte che accompagnava la sua nascita,
sapevamo che la resurrezione promessa dalla Bibbia era ed è la sua unica
speranza: "Il corpo è seminato corruttibile e risuscita incorruttibile;
è seminato ignobile e risuscita glorioso; è seminato debole e
risuscita potente" (Corinzi 15 v 35-55). La verità è che
l'anencefalia è l'esempio lampante della condizione del corpo fisico di
tutti noi. Tutti nasciamo con un corpo soggetto a invecchiamento, decadimento,
malattia, danneggiamento, e alla fine, morte. Il corpo della nostra bimba forse
appariva più "ignobile" di quello di un bimbo sano e perfetto (tant'è
che le coprivamo la testolina con una cuffia), ma in realtà, tutti i bimbi
che nascono prima o poi moriranno. Quindi l'unica speranza per la nostra bimba
(e per tutti i bambini che vengono al mondo) è la resurrezione promessa
dalla Bibbia e portata da Gesù Cristo sulla croce. Quindi demmo a nostra
figlia un nome che riflette la speranza che abbiamo per lei. Come secondo nome
scegliemmo "Joy" in onore di mia madre che era mancata cinque anni prima.
Simboleggia anche la consapevolezza che la nostra bimba conoscerà solo
la gioia eterna nella sua vita oltre la morte: la scelta è stata azzeccata,
perché ci ha portato più gioia di quanto potessimo sperare.
In preparazione al suo arrivo realizzammo cuffie e coperte per la nascita.
Ingaggiammo un fotografo per catturare il poco tempo insieme. Comprammo diversi
kit "crea ricordi" (per realizzare ad esempio impronte della manina e del piedino).
I nostri amici ci organizzarono anche un baby shower, un'unica festa per la nostra
bimba come simbolo delle tante che non avrebbe vissuto. Facemmo tesoro di ogni momento.
Oltre alle ecografie di routine, ne prenotammo anche in 4D. Vederla muoversi e persino
sorridere in grembo fu stupendo. Ci meravigliavamo di quanto fosse vivace, seppur
così fragile.
Anastasia Joy arrivò all'inizio di maggio 2013, con dieci settimane di
anticipo e spontaneamente. Nacque il giorno prima del baby shower che avevamo
organizzato. Ebbi un travaglio completamente naturale, abbastanza rapido e
sopportabile.
La fase espulsiva di Anastasia fu senza dubbio la cosa più difficile
che io abbia mai fatto: ricordo che dissi "Non posso farcela. Non ce la faccio".
Non era una questione fisica - più che altro non volevo farlo. La sentivo
muoversi e sapevo che le mie spinte avrebbero segnato la fine, non l'inizio del
nostro tempo con lei. Il mio corpo mi diceva di spingere ma il mio cuore mi
diceva di non farlo! Smisi di respirare il gas esilarante e alla fine il mio
cuore si calmò mentre chiedevamo a Dio di darmi la forza, il coraggio
e la capacità di compiere questo ultimo e doloroso passo per nostra
figlia.
Anastasia nacque viva, con un peso di 900 grammi. Come deciso nel piano del
parto, le misero una cuffietta sulla testa e me la diedero subito. Non le
tagliarono il cordone ombelicale; non mi fecero l'iniezione per velocizzare
il secondamento della placenta. Rimase in vita, tra le nostre braccia, per
80 splendidi minuti. Non respirava, ma il cuore le batteva. Scalciava, si
muoveva, ci teneva il dito. La facemmo battezzare e ci godemmo ogni momento
con la nostra bambina. Era in pace, non sembrava soffrire. Furono momenti
speciali, vissuti come una famiglia di quattro persone. Fu stupendo e
ripagò tutto il dolore. Siamo onorati di averla come parte della
nostra famiglia.
Al funerale parteciparono più di 200 persone. La seppellimmo con il
fratello maggiore, accanto a mia madre. Dopo il funerale organizzammo una festa
(al posto del baby shower mancato) per celebrare la sua breve ma preziosa vita.
Nei giorni successivi alla diagnosi di Anastasia era impossibile immaginare
quanto il tempo con lei sarebbe stato splendido, ma lo è stato davvero.
Il mio cuore si stringe per tutti o genitori che sono sconvolti da una diagnosi
fatale per il loro bimbo. Conosco la sensazione di shock, incredulità,
paura e angoscia. In quei primi giorni pensavo di non farcela. Pensavo che
lasciare l'ospedale senza la mia bimba, per la seconda volta, mi avrebbe distrutta.
Pensavo che nessuna mamma sarebbe potuta sopravvivere a una gravidanza del
genere - figuriamoci esserne grata.
Ma avevo torto. Non fu terribile come temevo e fu molto più
splendido di quanto osassi immaginare.
Ho dato alla luce mia figlia e questo mia ha resa più forte, non
può debole. Sono più realizzata come madre, non meno.
Sono grata di averla abbracciata mentre era in vita, non arrabbiata che
non ci sia più. Proseguire con la gravidanza mi ha guarita, perché assecondava il mio istinto materno.
Quello che tutt'ora mi rattrista di questa esperienza è che veniva
dato per scontato che l'aborto fosse l'opzione "migliore" per mia figlia,
per me e la mia famiglia. Si dava per scontato che mia figlia non fosse
degna della vita e dell'amore che le erano destinati.
Recentemente ho preso parte a un progetto di ricerca della Duke University,
negli USA, che studia il benessere psicologico delle madri che scelgono
o meno di abortire bambini anencefalici. Ho scoperto, per esperienza mia
e di altre mamme conosciute online, che non interrompere la gravidanza
può portare a benefici emotivi e psicologici profondi, che durano
una vita. L'aborto può sembrare l'unica soluzione di fronte a una
diagnosi fatale, ma tante madri, come me, hanno avvertito un senso di pace e
persino gioia quando hanno abbracciato i loro fragili e preziosi bimbi.
Se hai trovato questo sito perché al tuo bambino è stata
diagnosticata l'anencefalia, spero che la nostra storia riempia il tuo
cuore di coraggio. Scegliere di non interrompere la gravidanza può
essere un pensiero profondamente terrificante, ma può anche essere
la cosa più eccezionale che potrai mai decidere di fare.
Non dubitare: non sei da sola. Questo sito può metterti in contatto
con altri che hanno seguito lo stesso percorso, o lo stanno seguendo adesso:
potrete camminare insieme. Nulla può alleviare la tragedia della diagnosi -
nemmeno un aborto. Perdere un figlio è sempre terribilmente triste,
non si dimentica mai. Ma c'è qualcosa di fortissimo e straordinario
nella possibilità di accudire e amare un figlio fragile, finché
è in vita. Anche questa gioia non si dimentica mai.
"Nell'amore non c'è paura, anzi l'amore perfetto caccia via la paura"
1 Giovanni 4 v 18
Susanna
Ultimo aggiornamento di questa pagina : 16.12.2022